Messaggio della settimana di Don Giuseppe

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

XV Domenica del Tempo Ordinario                                                                                                                                                                                               14 Luglio 2024

 

 Il Vangelo non ha bisogno di nulla

 

            Inviando in missione i Dodici Gesù dà loro due consegne: lo spogliamento da compiere e l'atteggiamento da tenere di fronte al rifiuto. Ai suoi inviati Gesù ordina che per il viaggio non devono prendere «nient'altro che un bastone». Sorprende la forte insistenza non su ciò che deve loro mancare - "né pane, né sacca, né denaro" -, tre elementi non superflui ma sostanziali. Ai Dodici Gesù non chiede di spogliarsi del superfluo ma di fare a meno del necessario. Il pane è il cibo di cui nutrirsi. La sacca è la possibilità di conservare ciò che si riceve. Da ultimo il denaro, che è il compenso per il lavoro. Il pane, ossia la preoccupazione del cibo, la sacca che è il rischio dell'accumulo e il denaro che è garanzia di sicurezza sono agli occhi di Gesù ostacoli e intralci alla missione del Vangelo. A lungo andare il pane può diventare una tentazione, la sacca un fardello e il denaro un dio. No, non sono i mezzi umani a dare efficacia al Vangelo. Il Vangelo non ha bisogno di nulla, ha bisogno solo d'essere annunciato!

            L'ordine è radicale, inequivocabile: «Non prendere nulla per il cammino», dove il «non prendere» significa rinunciare per scegliere una concreta situazione di povertà, precarietà e bisogno. Quella del discepolo è una povertà non interiore ma esteriore e ben visibile. Gesù pone i suoi discepoli nella condizione del massimo provvisorio, e questo consente all'annunciatore del Vangelo di non bastare a sé stesso, di non essere autosufficiente. Non prende nulla perché ha tutto colui che ha con sé l'Evangelo. Per questo il suo camminare è libero, lieve e ricco solo del messaggio che porta con sé.

            A ben guardare, la condizione dell'annunciatore dell'Evangelo non è altro che la condizione umana in quanto tale, che è condizione di radicale insufficienza, precarietà, fragilità. La sazietà del cibo, l'accumulo dei beni e la sicurezza del denaro sono dei sedativi con i quali l'uomo risponde alla sua radicale condizione di incertezza.

Al contrario, obbedire al comando di «non prendere nulla» significa riconoscere si essere bisognosi di tutto, e assumere l'attitudine di chi si affida al Signore e ha fiducia in chi incontra lungo la strada.

            Ma ci sono due oggetti che il discepolo di Gesù deve avere: il bastone e i sandali. E' un evidente rimando al modo con il quale i figli d'Israele, per ordine di Dio, hanno mangiato l'Agnello pasquale nella notte dell'uscita dall'Egitto: «Ecco in qual modo lo mangerete: con i fianchi cinti, i sandali ai piedi, il bastone in mano; lo mangerete in fretta. E' la Pasqua del Signore» (Es 12,11). Anche questo è un ordine del Signore. Gli annunciatori del Vangelo devono indossare gli strumenti di chi inizia il lungo cammino dell'esodo, assumendo la condizione dell'uomo pasquale che ha fede solo nella promessa di Dio e non nei mezzi umani.

            «Chi ha pochi mezzi è oggetto di odio perfino dal suo prossimo, gli amici del ricco sono invece molti» (Proverbi 14,20). Quando portiamo con noi il bastone come sostegno nelle fatiche e i sandali ai piedi della nostra miseria, allora potremmo sopportare il peso delle contraddizioni, senza stupirci né scandalizzarci se siamo fraintesi e rifiutati. Il discepolo di Gesù non deve attendersi né riconoscimenti, né ricompense, ma deve continuare ad annunciare l'Evangelo nella libertà, senza imporsi.

 

 

XVI Domenica del Tempo Ordinario                                                                                                                                                                                               21 Luglio 2024

Venite in disparte

 

            Come per istinto i Dodici ritornano da colui che li aveva mandati in missione. Inviati da Gesù ora si radunano attorno a lui per riferirgli tutto quello che hanno fatto e insegnato. Ecco i due inseparabili movimenti della sequela, la diastole  e la sistole della vita cristiana. Nel tempo trascorso dalla loro partenza al ritorno, Giovanni Battista è stato giustiziato nella prigione di Erode, esito del crudele divertimento che avrà scosso profondamente Gesù e che preannuncia la sua stessa morte, spietato destino che attende ogni profeta.

            I discepoli di Gesù si riuniscono attorno a lui che li invita a prendersi un tempo di riposo: «Venite in disparte, voi soli, in un luogo deserto, e riposatevi un po'». L'espressione in disparte, frequente nei sinottici, indica sempre il luogo e il tempo di una più grande intimità dei discepoli con Gesù, di una condivisione semplice e fraterna della vita quotidiana, di un insegnamento particolare che riserva solo a loro. Attraverso questa preoccupazione per il riposo dei discepoli, Gesù si rivela come il pastore annunciato dai profeti e narrato nei Salmi: «Il Signore è il mio pastore, non manco di nulla [...] ad acque quiete mi conduce, ricrea la mia vita» (Sal 23,1-3). In questo modo Gesù ci guida verso la nostra interiorità, portandoci a lui stesso. L'altrove è un'illusione, l'interiorità invece è il solo luogo riposante. Dove possiamo andare per riposarci dalle fatiche vissute in suo nome? Solo la mitezza di Gesù può riposarci dalle sue stesse esigenze: «Venite a me tutti voi che vi affaticate e siete carichi di pesi, e io vi farò riposare» (Mt 11,28).

            Di questo riposo al quale Gesù invita noi suoi discepoli, lui stesso ne sente la necessità, come fosse un'esigenza interiore. Più volte nei Vangeli si legge: «Congedata la folla andò sul monte a pregare». Gesù si ritira per ritrovare il Padre e in lui rinnovare le sue forze. Il Padre è quell'unico "luogo in disparte" che Gesù frequenta. Come Gesù ha il suo luogo di riposo nel Padre noi lo abbiamo in Gesù Cristo. Questo è sempre e ovunque possibile, come il fiato che si riprende, la pace interiore che perviene, la sospensione che la mente reclama, il riposo che il corpo esige.

            «Allora andarono con la barca verso un luogo deserto, in disparte. Molti però li videro partire e capirono [...] e li precedettero». Il lago sul quale Gesù conduce i suoi in disparte è in realtà sotto gli occhi di tutti. Ovunque ci si imbarchi e per quanto vasta possa essere l'attraversata interiore, si approderà presto o tardi a una riva dove si troverà fame, sete, sofferenza, guerra, grida di aiuto. Gesù stesso sceso dalla barca «vide una gran folla, ebbe compassione di loro, perché erano come pecore senza pastore, e si mise a insegnare». Come una sorta di austera illuminazione, di improvvisa rivelazione della reale condizione dell'umanità, per la prima volta nel vangelo secondo Marco, Gesù è mosso da compassione per la folla che discerne senza guide  che se ne prendano cura, la nutrano, la orientino, la consolino. Il riposo promesso ai discepoli svanisce.

            Andare con Gesù in disparte per riposarci dalle fatiche significa seguirlo nella sua compassione per la folla stanca e smarrita, significa stare presso le sue viscere di misericordia per il mondo. L'umanità senza pastore abita il cuore di Dio, e questo è l'unico nostro luogo di riposo in Cristo.

 

 

 

  

 

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